Degrado strutturale del cemento armato tradizionale e precompresso: quali sono le caratteristiche e le conseguenze

 

L’immane tragedia del crollo del ponte Morandi a Genova è ancora sotto gli occhi di tutti noi ed è difficile capacitarsi dell’entità di quanto accaduto e dei risvolti che ne seguiranno..

Intanto possiamo dire una cosa: non si può parlare di “tragica fatalità”, e vi diremo il motivo senza sconfinare nell’opinione, anche perché non è il primo collasso di una struttura dalle caratteristiche costruttive simili e purtroppo potrebbe non essere l’ultimo. Nella catastrofe, però, bisogna cercare un punto da cui ripartire e fare esperienza, al fine di prevenire futuri accadimenti simili.

 

Il degrado del cemento armato tradizionale e precompresso: un problema dell’edilizia contemporanea

L’invenzione del cemento armato risale al periodo a cavallo fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, quindi può essere considerato, oggigiorno, una tecnologia per certi versi abbastanza matura. Non altrettanto si può dire per il suo “cugino”, ossia il cemento armato precompresso, che ha avuto le prime applicazioni nell’edilizia delle infrastrutture a partire dagli anni Cinquanta.

In entrambi i casi, però, bisogna considerare che moltissime delle costruzioni erette fin dai tempi della prima introduzione di quelli che erano considerati “nuovi materiali da costruzione” sono tuttora in esercizio e inevitabilmente mostrano problemi di usura, ammaloramento e degrado strutturale dovuto a carenze progettuali non eliminabili al momento della progettazione a causa di mancanza vera e propria di nozioni teoriche e conoscenze dettate dall’esperienza e dalla successiva ricerca.

 

Per questo motivo, a partire dalla seconda metà del ‘900, il degrado delle strutture esistenti in cemento armato tradizionale e precompresso è diventato uno dei problemi principali dell’ingegneria civile strutturale. Il censimento di ponti, viadotti, gallerie e manufatti dislocati sul territorio italiano e lungo la rete autostradale nazionale annovera decine e decine di migliaia di strutture realizzate sulla base di limitate conoscenze tecnico-teoriche in merito a durabilità ed affidabilità. Il tutto senza considerare che queste opere devono fare i conti con un “nemico instancabile”: il tempo, sempre attivo, durante il quale le intemperie e l’entropia decrementano inesorabilmente e progressivamente le qualità meccaniche di qualsiasi materiale da costruzione, specialmente il cemento armato tradizionale e precompresso, come illustreremo in sintesi più avanti.

 

E qui arriviamo al punto: a prescindere dall’abilità del progettista, dalla bontà delle materie prime e dalla perizia delle maestranze adibite alla costruzione di una struttura cementizia (e non solo) tutti dobbiamo ripeterci il concetto fondamentale che nessun manufatto è eterno. Nonostante la terminologia sia piuttosto suggestiva, il fatto che il cemento sia armato non garantisce una longevità fuori della norma… Sarebbe più corretto, invece, etichettare ciascuna singola opera, una per una e nessuna esclusa, con una previsione del termine della vita d’esercizio e, soprattutto, con il piano obbligatorio di verifiche tecniche di staticità e interventi di ristrutturazione e manutenzione.

Per fare un esempio pratico, la durata media della vita d’esercizio di un ponte stradale o autostradale, alla luce della casistica e degli studi eseguiti negli ultimi decenni, non può essere considerata superiore a cento anni. Sulla scorta di quest’orizzonte temporale, si deve ritenere obbligatorio almeno un intervento riabilitativo significativo al raggiungimento di metà vita utile, quindi non oltre cinquant’anni dalla prima costruzione. Il buon senso e comuni regole di corretta prevenzione, inoltre, consiglierebbero di operare campagne sistematiche di analisi e monitoraggio almeno ogni dieci anni nell’arco dell’intera vita d’esercizio dell’opera, soprattutto se questa è sita in un luogo sismicamente attivo o esposto ad agenti atmosferici aggressivi.

 

Corrosione ed infragilimento delle armature: gran parte del degrado strutturale dipende da loro

Analisi strutturali, modelli di simulazione e repertazioni sui luoghi ove sono avvenuti crolli e collassi hanno evidenziato che un’incidenza significativa sul degrado della resistenza meccanica è dovuto alla corrosione delle armature metalliche.

I processi corrosivi sono infatti alla base di:

- decremento della superficie resistente della sezione trasversale dei ferri d’armatura;

- espulsione dei copriferro di calcestruzzo, con successiva diminuzione della capacità portante;

- perdita di aderenza fra le barre d’acciaio e il calcestruzzo circostante, la quale può portare ad uno squilibrio tensionale interno all’elemento, fino alla rottura fragile nei casi più estremi.

 

Ponti, viadotti e costruzioni marittime in cemento armato precompresso sono esposti ad un maggior rischio di corrosione perché a contatto con la salsedine, che intensifica il formarsi di ossidi e ruggine.

L’aggressione della corrosione è amplificata poi dagli sbalzi termici, da frequenti cicli di gelo/disgelo e dalla formazione di microfessure, che costituiscono delle vie d’accesso agevolate per gli agenti aggressivi, in un circolo vizioso che non può che autoalimentarsi.
Sempre nel cemento armato precompresso si riscontra un altro meccanismo distruttivo, detto infragilimento da idrogeno. Questi è dato dalla tendenza spontanea da parte degli atomi di idrogeno a spostarsi e concentrarsi proprio nelle aree sottoposte a maggior sollecitazione meccanica, ove si creano delle micro lesioni che nel tempo crescono di dimensione fino a far collassare all’improvviso la sezione sotto sforzo.

Tutti questi fenomeni, all’epoca della progettazione delle prime opere, erano pressoché sconosciuti e, probabilmente, neanche se ne ipotizzava l’eventualità. In attesa di sapere ufficialmente quali sono le cause del disastro di Genova, si possono tuttavia fin d’ora scorgere delle analogie con un fenomeno analogo come il crollo del ponte di Santo Stefano nel 1999, dovuto al degrado strutturale cagionato da quanto sopra elencato e non previsto – né prevedibile – in sede di progetto.

 

Il degrado strutturale costa e costerà molto, ma è possibile trarne dei preziosi insegnamenti

Purtroppo nel mondo esistono numerosissime opere che possono correre rischi dovuti al degrado del materiale da costruzione utilizzato e da oggi fino ai prossimi decenni occorrerà uno sforzo enorme sia a livello economico sia ingegneristico per evitare nuove disgrazie… Sarà imperativo il ricorso massiccio a interventi di verifica e manutenzione di tutte le strutture esposte a tale rischio e, probabilmente, per molte di esse non sarà sufficiente o conveniente un “semplice” consolidamento e restauro, ma si dovrà provvedere alla demolizione, con tutto ciò che ne consegue.

 

Da questa minaccia vogliamo trovare spunti ed insegnamenti per cercare di ridurre o prevenire fenomeni analoghi:

- è opportuno usare moltissima cautela nella diffusione di nuovi materiali da costruzione, tanto maggiore quanto più questi sono inediti, anche se sono considerati il non plus ultra della tecnologia e sono stati collaudati in tutti i modi. Ricordiamo che i test più attendibili sono quelli che avvengono dal vero in tempo reale, quindi è molto difficile per chiunque, oggi, prevedere tutti gli effetti che si manifesteranno entro cento o più anni dalla posa in opera di un materiale;

- ogni nuova struttura deve essere considerata a termine, quindi nel calcolo dei costi di realizzazione e manutenzione bisognerebbe inserire anche quelli di dismissione e sostituzione e verificare che il valore finale risulti ancora conveniente;

- durante la propria vita d’esercizio, ciascuna opera esistente deve necessariamente subire interventi di manutenzione e restauro pertanto si dovrebbe quantificare l’entità di questi ultimi e vederne l’andamento al passare del tempo. Se si riscontra un incremento eccessivo dei costi e/o una frequenza troppo elevata dei lavori allora vuol dire che la struttura non si trova in condizioni ottimali di sicurezza e deve essere rimossa e/o sostituita con un’altra più affidabile;

- riguardo gli edifici ad uso civile, ricordiamo l’importanza della prevenzione così come anche del certificato di idoneità statica, e di non rinviare inutilmente l’eventuale necessità di esecuzione di interventi di adeguamento sismico, per i quali sono previsti anche incentivi fiscali molto interessanti.

 

In ogni caso vi invitiamo, come di consueto, a comunicarci eventuali considerazioni o suggerimenti al riguardo, saremo lieti di esaminare qualsiasi aspetto!

Fateci pervenire vostri commenti, considerazioni e richieste di pareri.

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